Il 14 Luglio, sulla terrazza del Marina Yacht Club di Tropea, si è tenuto l’incontro sui vini rosa di Cirò. Un appuntamento al tramonto per raccontare l’altra faccia del Gaglioppo.
Non una degustazione tecnica “perché credo che si possa e, forse, si debba andare oltre alla mera descrizione dei sentori all’interno di un calice. Degustare, per me, non significa indovinare alla cieca il vino o l’annata. Per quanto possa essere intrigante questo ha più a che fare con le competenze e l’esperienza di chi assaggia che con il vino stesso. Il vino è prima di tutto il prodotto di un vitigno, l’interpretazione che ne da il vigneron e il racconto di un territorio. Ed è questo che bisogna comunicare”.
Questa la premessa di Alessandra Molinaro, critica ed esperta di comunicazione enogastronomica, che ha guidato l’incontro.
La Calabria è un territorio storicamente vocato alla viticoltura. Oggi, più che mai, possiamo ancora definirla Enotria, ovvero terra di vino, così come la definirono i Greci quando vi approdarono nell’VIII sec a.C. fondando la città di Cremissa, l’attuale Cirò Marina. Protagonisti della serata sono stati proprio i vini di Cirò, nella loro versione rosa.
Probabilmente non tutti sanno che il vino rosa è il più antico al mondo e il Cirò rosato, nello specifico, ha un ruolo primario nella memoria ancestrale dei calabresi. Nella cultura contadina il vino rosso era, infatti, il vino che richiedeva tempi più lunghi ed era destinato alla vendita, dunque il suo consumo era riservato alle grandi occasioni. Il Rosato, invece, era il vino quotidiano. Oggi l’Italia è il quarto produttore al mondo di vini rosa, ma per consumo interno si posiziona fra gli ultimi. Basti pensare che in Francia il 34% del vino consumato è rosé, mentre in Italia si raggiunge a malapena il 6%.
Una storia e una tradizione che si sono persi nel tempo e che, forse, bisognerebbe raccontare meglio e maggiormente.
Quattro i vini selezionati per la serata:
- Rosaneti di Librandi
- Marinetto di Sergio Arcuri
- Cirò rosè di Cataldo Calabretta
- Cirò rosato di Tenuta del Conte
Gaglioppo in purezza, ovviamente. Una scelta mirata che ha portato in tavola un’azienda simbolo di Cirò come Librandi, ma in una veste spumantizzata per porre l’accento sull’acidità che questo vitigno riesce a garantire.
A seguire, i Rosati della Cirò Revolution. Negli anni in cui a Cirò si cercava di seguire una strada già battuta, dimenticando che le scorciatoie non sempre restituiscono qualcosa in termini d’identità, Sergio Arcuri, Cataldo Calabretta e Mariangela Parrilla hanno saputo tracciare un percorso alternativo che ha reso i loro vini la più autentica espressione del territorio.